«Tutti quelli che udivano si stupirono delle cose dette loro dai pastori» (Lc 2, 18)
Lo stupore accende la vita, mette in azione le emozioni, risveglia la curiosità, suscita domande ed interessi nuovi. Lo stupore dei pastori è proprio il frutto dell’esperienza di Dio che hanno appena fatto, ascoltando gli angeli e andando a veder il Bambino. Dio, infatti, ci regala un modo nuovo di guardare il mondo, un nuovo gusto per le cose, un concentrarci su ciò che prima trascuravamo e che ora riscopriamo. È questa l’eredità del Natale.
Omelia di Papa Francesco Notte di Natale
Nella notte si accende una luce. Un angelo appare, la gloria del Signore avvolge i pastori e finalmente arriva l’annuncio atteso da secoli: «Oggi è nato per voi un Salvatore, che è Cristo Signore» (Lc 2,11). Sorprende, però, quello che l’angelo aggiunge. Indica ai pastori come trovare Dio venuto in terra: «Questo per voi il segno: troverete un bambino avvolto in fasce, adagiato in una mangiatoia» (v. 12). Ecco il segno: un bambino. Tutto qui: un bambino nella cruda povertà di una mangiatoia. Non ci sono più luci, fulgore, cori di angeli. Solo un bimbo. Nient’altro, come aveva preannunciato Isaia: «Un bambino è nato per noi» (Is 9,5).
Il Vangelo insiste su questo contrasto. Racconta la nascita di Gesù cominciando da Cesare Augusto, che fa il censimento di tutta la terra: mostra il primo imperatore nella sua grandezza. Ma, subito dopo, ci porta a Betlemme, dove di grande non c’è nulla: solo un povero bambino avvolto in fasce, con dei pastori attorno. E lì c’è Dio, nella piccolezza. La piccolezza è la via che ha scelto per raggiungerci, per toccarci il cuore, per salvarci e riportarci a quello che conta.
Contempliamo il Bambino. Nella sua piccolezza c’è tutto Dio. Riconosciamolo: “Bambino, Tu sei Dio, Dio-bambino”. Lasciamoci attraversare da questo scandaloso stupore. Colui che abbraccia l’universo ha bisogno di essere tenuto in braccio. Lui, che ha fatto il sole, deve essere scaldato. La tenerezza in persona ha bisogno di essere coccolata. L’amore infinito ha un cuore minuscolo, che emette lievi battiti. La Parola eterna è infante, cioè incapace di parlare. Il Pane della vita deve essere nutrito. Il creatore del mondo è senza dimora. Oggi tutto si ribalta: Dio viene al mondo piccolo. La sua grandezza si offre nella piccolezza.
E noi – chiediamoci – sappiamo accogliere questa via di Dio? È la sfida di Natale: Dio si rivela, ma gli uomini non lo capiscono.
Lui si fa piccolo agli occhi del mondo e noi continuiamo a ricercare la grandezza secondo il mondo. Ecco che cosa chiedere a Gesù per Natale: la grazia della piccolezza. “Signore, insegnaci ad amare la piccolezza. Aiutaci a capire che è la via per la vera grandezza”. Ma che cosa vuol dire, concretamente, accogliere la piccolezza? Per prima cosa vuol dire credere che Dio vuole venire nelle piccole cose della nostra vita, vuole abitare le realtà quotidiane, i semplici gesti che compiamo a casa, in famiglia, a scuola, al lavoro. È nel nostro vissuto ordinario che vuole realizzare cose straordinarie. Ed è un messaggio di grande speranza: Gesù ci invita a valorizzare e riscoprire le piccole cose della vita. Se Lui è con noi lì, che cosa ci manca? Rinunciamo alle lamentele e ai musi lunghi, all’avidità che lascia insoddisfatti! La piccolezza, lo stupore di quel bambino piccolo: questo è il messaggio.
Ma c’è di più. Gesù non desidera venire solo nelle piccole cose della nostra vita, ma anche nella nostra piccolezza: nel nostro sentirci deboli, fragili, inadeguati, magari persino sbagliati. Sorella e fratello, se, come a Betlemme, il buio della notte ti circonda, se avverti intorno una fredda indifferenza, se le ferite che ti porti dentro gridano: “Conti poco, non vali niente, non sarai mai amato come vuoi”, questa notte, se tu senti questo, Dio risponde e ti dice: “Ti amo così come sei. La tua piccolezza non mi spaventa, le tue fragilità non mi inquietano. Mi sono fatto piccolo per te. Ti sono vicino e solo questo ti chiedo: fidati di me e aprimi il cuore”.
Accogliere la piccolezza significa ancora una cosa: abbracciare Gesù nei piccoli di oggi. Amarlo, cioè, negli ultimi, servirlo nei poveri. Sono loro i più simili a Gesù, nato povero. Ed è in loro che Lui vuole essere onorato. In questa notte di amore un unico timore ci assalga: ferire l’amore di Dio, ferirlo disprezzando i poveri con la nostra indifferenza. Sono i prediletti di Gesù, che ci accoglieranno un giorno in Cielo. Una poetessa ha scritto: «Chi non ha trovato il Cielo quaggiù, lo mancherà lassù» (E. Dickinson, Poems, P96-17).