Piccole Note – 27 dicembre 2020

EGLI E’ QUI, QUI COME IL PRIMO GIORNO

San Giovanni Evangelista

La liturgia del giorno di san Giovanni prevale sulla festa della domenica. Grazie a queste letture si celebra la grandezza e l’autorevolezza del discepolo amato, di cui si può dire «quanto sono belli i piedi di coloro che arrecano il lieto annuncio di bene!». Egli ha penetrato più di altri il mistero del Figlio e lo ha narrato e, come si legge al termine del suo Vangelo, «la sua testimonianza è vera». Le parole del Vangelo legittimano la sua autorevolezza, eliminando ogni antagonismo errato con la figura di Pietro. Inoltre Gesù afferma di Giovanni che sarebbe rimasto, tanto che di lui si diffuse l’idea che non sarebbe morto. Ma cosa significa tale espressione di Gesù? Il discepolo amato è chiamato a suo modo alla sequela del Maestro, e ne sarà un testimone che non verrà meno, non per sua improbabile immortalità. Il suo rimanere si concretizzerà, invece, attraverso la testimonianza scritta, quella stessa che oggi raggiunge l’uomo del terzo millennio e gli dischiude il mistero del Figlio incarnato.

Questa liturgia, proprio dando spazio allo scritto del discepolo amato, testimone verace del mistero, permette ad ogni fedele di prolungare la contemplazione del Natale, mistero di vita e di luce. La prima lettera di Giovanni, in modo puntuale contro ogni gnosticismo che rinneghi l’umanità del Figlio, ribadisce l’esperienza indimenticabile della relazione tangibile, sensibile con Colui che è la vita. Questa esperienza introduce alla comunione con Dio e, proprio tramite questa via, chi fa esperienza di lui cammina nella luce, perché Dio è luce che illumina, e permette di vedere, cioè di camminare nella verità. Solo chi non è in comunione con lui, cammina nelle tenebre, cioè nella menzogna, come chi dice di essere senza peccato.

Il discepolo di Gesù, invece, sa di essere peccatore e proprio per questo è invitato a essere umile, vigilante e fiducioso in Colui che è il Salvatore.

Papa Francesco :  l’augurio alla Curia Romana

Il Natale di Gesù di Nazaret è il mistero di una nascita che ci ricorda che «gli uomini, anche se devono morire, non sono nati per morire, ma per rincominciare», come osserva in maniera tanto folgorante quanto incisiva Hannah Arendt, la filosofa ebrea che rovescia il pensiero del suo maestro Heidegger, secondo cui l’uomo nasce per essere gettato nella morte. Sulle rovine dei totalitarismi del novecento, Arendt riconosce questa verità luminosa: «Il miracolo che preserva il mondo, la sfera delle faccende umane, dalla sua normale, “naturale” rovina è in definitiva il fatto della natalità. […] È questa fede e speranza nel mondo che trova forse la sua più gloriosa ed efficace espressione nelle poche parole con cui il Vangelo annunciò la “lieta novella” dell’avvento: “Un bambino è nato fra noi”».

Quando il 27 marzo scorso, sul sagrato di San Pietro, davanti alla piazza vuota ma piena di un’appartenenza comune che ci unisce in ogni angolo della terra, quando lì ho voluto pregare per tutti e con tutti, ho avuto modo di dire ad alta voce il possibile significato della “tempesta” (cfr Mc 4,35-41) che si era abbattuta sul mondo: «La tempesta smaschera la nostra vulnerabilità, lascia scoperte quelle false e superflue sicurezze con cui abbiamo costruito le nostre agende, i nostri progetti, le nostre abitudini e priorità. Ci dimostra come abbiamo lasciato addormentato e abbandonato ciò che alimenta, sostiene e dà forza alla nostra vita e alla nostra comunità. … Con la tempesta, è caduto il trucco di quegli stereotipi con cui mascheravamo i nostri “ego” sempre preoccupati della propria immagine; ed è rimasta scoperta, ancora una volta, quella (benedetta) appartenenza comune alla quale non possiamo sottrarci: l’appartenenza come fratelli».

La Provvidenza ha voluto che proprio in questo tempo difficile potessi scrivere Fratelli tutti, l’Enciclica dedicata al tema della fraternità e dell’amicizia sociale. E una lezione che ci viene dai Vangeli dell’infanzia, dove è narrata la nascita di Gesù, è quella di una nuova complicità – una nuova complicità! – e unione che si crea tra coloro che ne sono i protagonisti: Maria, Giuseppe, i pastori, i magi e tutti quelli che, in un modo o nell’altro, hanno offerto la loro fraternità, la loro amicizia affinché potesse essere accolto nel buio della storia il Verbo che si è fatto carne (cfr Gv 1,14).